Alice Reina
Assessora Pari Opportunità
Comune di Monte San Pietro
Presentazione
Nella sua storia familiare c’è veramente di tutto. Nobili decaduti, artisti, ebrei, socialisti, vittime del nazifascismo, partigiani, monarchici, figli di cognome materno, vedove precoci, orfani e figli adottivi. Un pezzo di sud Italia e un pezzo di nord. E il crocevia di Bologna.
Nella sua storia familiare c’è veramente di tutto. Nobili decaduti, artisti, ebrei, socialisti, vittime del nazifascismo, partigiani, monarchici, figli di cognome materno, vedove precoci, orfani e figli adottivi. Un pezzo di sud Italia e un pezzo di nord. E il crocevia di Bologna. Madre psichiatra e psicoterapeuta, padre insegnante presso l’Istituto d’Arte. E due nonne pionere dei tempi: una che si laureò nel 1945, un’altra che si separò, poco dopo la guerra, ben prima che la legge sul divorzio lo rendesse un atto legittimo.
Quella di Alice è una famiglia divergente. Il padre, la madre e il suo successivo marito hanno fatto il Sessantotto militando nel Movimento Studentesco (MS) prima, nel Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS) dopo.
“L’impegno sociale e politico mi è stato tramandato dalla famiglia… in particolare mia madre, mio padre e il marito di mia madre vengono dalle forze politiche extraparlamentari degli anni Sessanta e Settanta e questo, nella mia formazione, ha influito molto”.
Alice cresce in questo spirito e si impegna fin da giovanissima in azioni di politica studentesca. Come rappresentante di classe, per tutti gli anni del liceo, e, contemporaneamente, all’interno del collettivo di Riva Reno 122 e del collettivo femminista “Lilith”.
Nel suo accidentato percorso di studi… – “sono stata molto adolescente”, dice di sé… – c’è un triplice passaggio di scuola, che non smentisce però mai la scelta di studi classica: prima il Minghetti, poi il Galvani, poi l’Alfieri.
Diplomata nel 1998 si iscrive al DAMS e poco dopo in Accademia96-Teatro dei Dispersi dove comincia a studiare regia per cedere, appena dopo un anno, “all’attrazione magnetica del palcoscenico”, fino a completare il percorso di formazione attoriale che precede la laurea di un paio di anni.
Poi un primo importante salto in profondità.
“Nel 2008 mi ero laureata da un biennio, avevo fatto una serie di esperienze attoriali, facevo la pendolare tra Bologna, Roma e Milano, avevo una mia piccola compagnia… quando mi rincontrai a Roma con quella che era stata la regista del mio debutto… fu lei a propormi una collaborazione con l’Associazione Donne Nissà di Bolzano per un laboratorio di narrazione con le utenti del Centro Antiviolenza da loro gestito… da questo laboratorio fu tratto uno spettacolo sulla violenza domestica che intitolammo Voci di Desdemona… fu un’esperienza che segnò una svolta nel mio percorso… quella che mi diede concretamente l’occasione di sperimentare il teatro come rito laico e sociale… e di riscoprire la politica attiva, che avevo abbandonato dopo un episodio molto brutto della mia militanza giovanile”.
Il riferimento è a un momento delle manifestazioni studentesche del 1997. Siamo a Bologna, in Largo Trombetti, durante un presidio di contrasto a una manifestazione neofascista. “Il presidio andò molto bene. Era stato organizzato dal Centro Sociale Via Riva Reno 122 e il collettivo femminista di cui facevo parte aveva partecipato attivamente. La nostra fu una presenza molto pacifica, allegra, tranquilla… animata da musica e da canti… ma sul finale alcuni ragazzi del Centro Sociale decisero di giocare alle BR… uscirono da dietro il presidio con i caschi in testa e armati di sanpietrini… la carica della Polizia si scatenò su chi era in prima linea… cioè principalmente sulle ragazze. Quella dei giovani del Centro Sociale fu una dimostrazione di forza maschilista e machista, una provocazione così violenta e arrogante, che mi allontanò dall’attivismo politico”.
L’esperienza con l’Associazione Donne Nissà riossigena l’humus artistico-culturale-sociale della storia familiare di Alice dando al suo impegno una nuova destinazione politica. “Uno scopo che non fosse solo quello estetico… ma di analisi e di indagine delle nostre relazioni di donne, per scoprire nel collettivo del confronto teatrale quanti piccoli o grandi episodi di violenza fossero capitati a tutte noi… e, nel mio percorso, un modo per ripartire dal ‘privato che è politico’ e dalla convinzione, mai sepolta, che la misura etica delle mie scelte, quelle personali e quelle lavorative, non poteva essere altro che politica”.
Ma quella con l’Associazione Donne Nissà è anche un’esperienza che apre a nuove domande sociali. La prima è quella relativa alle bambine e ai bambini vittime di violenza assistita e poi, a loro volta, di maltrattamenti e di abusi. Una domanda che apre all’incontro con il Centro specialistico Il Faro e all’impegno a mettere a disposizione le competenze maturate attraverso il teatro nell’interazione con le vittime di violenza da esso seguite.
È il 2009. Un contatto con Mariagnese Cheli è il tramite per avviare una collaborazione con l’Associazione l’Isola che c’è che affianca Il Faro in numerose iniziative informative, formative ed educative.
“Sentivo che il teatro poteva essere uno strumento utile per lavorare sulle risorse dei bambini e delle bambine… non un teatro-terapia, ma un laboratorio esperienziale nel quale attivare riferimenti positivi, risorse sopite, a partire dal gioco ‘Facciamo che…’, da cui le quattro edizioni del laboratorio hanno preso il nome. Chiesi subito di essere affiancata da una psicologa e psicoterapeuta specializzata sui temi del maltrattamento e dell’abuso, e incontrai quindi Alessandra Piccioni… nel team c’era anche Anna Castellucci, con il ruolo di supervisora… alla quale poi si è aggiunta Laura D’Aniello come parte del team di lavoro. Per me è stata un’esperienza molto importante, grazie alla quale sono cresciuta, sia come professionista che come donna… un progetto con il quale sono ‘diventata grande’”.
Nel 2013 Alice svolge un corso post-laurea sul “Teatro come strumento per le professionalità educative” finalizzando ancora più decisamente la propria competenza attorno a questa esperienza.
“Con questo corso ho sentito di avere chiuso un po’ il cerchio… di avere trovato le parole… di avere fatto un’operazione di integrazione della storia da cui discendo… la parte artistica e quella più ‘psi’”.
Questa ulteriore tappa nella formazione di Alice arricchisce la sua attività di formatrice teatrale nelle scuole. “L’obiettivo non è certo quello di creare dei piccoli attori, o delle piccole attrici, ma di utilizzare il teatro come strumento - potentissimo - di contatto con le proprie emozioni, per dare loro un nome, per gestirle, invece che reprimerle”.
Parallelamente a queste vicende Alice si sposa, poi si separa, poi incontra Leonardo. Dal 2010 vivono insieme a Porta Sant’Isaia fino a quando, nel 2014, un vicino originario di Calderino – “molto di più che un vicino per me… uno zio putativo…” – individua per loro una “casa bellissima a Monte San Pietro”.
Un colpo di fulmine.
“Abbiamo visto la casa a fine settembre e a fine ottobre eravamo già qui. Siamo entrambi amanti della montagna, per cui tutto quello che è bosco, monte… quello che sta un po’ in alto… ci piace… e questa casa, in mezzo a questa bellissima natura, con il bosco di qua e il bosco di là… ci ha convinti a cambiare completamente vita”.
Arrivata a Monte San Pietro Alice comincia a esplorare il territorio… incontra per prima l’Assessora alla Cultura e si impegna nella realizzazione di alcune letture in occasione della giornata di Libera, poi si avvicina allo spazio partecipato della Ex Moduli appena rigenerata… “Andai a bussare alla porta… Salve!.. La cosa che mi ha coinvolta di più è stata l’accoglienza immediata. Mi sono sentita subito partecipe e ho cominciato a collaborare con il comitato di gestione. A poco a poco ho conosciuto il gruppo che era ancora SEL, e poi si è trasformato in Sinistra per Monte San Pietro, e ho fatto pace con l’esperienza dell’attivismo politico”.
Fino al 2016 Alice si dedica a diverse iniziative generate dall’esperienza della Ex Moduli, poi deve interrompere per occuparsi della madre malata di tumore… “ma ho sempre mantenuto i contatti e quando, in prossimità delle ultime elezioni, il gruppo di Sinistra per Monte San Pietro mi ha chiesto di candidarmi mi sono detta: Ah… però!.. Le congiunture astrali! Uscivo infatti da un paio di anni impegnativi, la malattia di mia madre (che da combattente ha sconfitto) mi aveva preso molto ed ero stanca… ma quella domanda è andata a stuzzicare la mia componente passionale e quindi ho detto: Bello! E così eccomi qua”.
Oggi Alice vive a Monte San Pietro con Leonardo e le loro due grandi cagnone, Heidi e Neve. “Ci siamo sposati proprio qua… ci ha sposato la prima Assessora che avevo conosciuto e abbiamo fatto la festa in casa… È sembrato quasi uno sposalizio con il territorio”.
Assessora con delega alle Pari Opportunità Alice ricopre anche le cariche di Assessora alla Cultura e Legalità, Partecipazione, Tavolo della Memoria e dell’Impegno Civile e Politiche giovanili.
Alice parla e legge l’inglese ed è molto anglofila… “Brexit a parte!.. Sono stata molte volte in Gran Bretagna ed è stato il primo viaggio che ho fatto da sola da ragazzina… una sorta di imprinting… ma soprattutto mi lega la passione teatrale… sono talmente innamorata di Shakespare che me lo leggo in inglese… poi ci metto settant’anni a finirlo, ma questo è un altro discorso… il suo è teatro politico… per questo mi piace”.
Scout, è stata iscritta per dieci anni – “dai dieci ai venti” – al CNGEI (Corpo Nazionale Giovani Esploratori ed Esploratrici), l’associazione scout laica. “La considero un’esperienza assolutamente formativa che consiglio a chiunque. Le amicizie di lunga data che vedo ancora sono quelle. Una presa di coscienza civica e civile… anche se Baden Powell non è stato certamente uno dei migliori uomini sulla terra e lo scoutismo riflette la sua organizzazione abbastanza militaresca… che tutto sommato nella fase preadolescenziale del Reparto (dai dodici ai sedici anni) aiuta a stabilire confini e responsabilità… la Compagnia, che è la branca dai sedici a diciannove anni, è gestita comunque paritariamente… tutte e tutti insieme si scrive una propria Carta della Compagnia… mi ricordo che nella nostra avevamo scritto: Mi sento cittadina del mondo, la vita di ciascun essere umano mi riguarda… e questo è un seme che mi è cresciuto dentro… e poi l’attività di volontariato… il motto della Compagnia è ‘Servire’… e per me è stato molto formativo poter entrare in contatto con realtà diverse dalla mia… nel gruppo c’erano diverse ragazze e ragazzi disabili… autistici, con Sindrome di Down… un’opportunità per conoscere e imparare a non avere paura… per vedere le diversità come una risorsa e non come un ostacolo”.
Autovalutazione
La politica è confronto, e il confronto può sfociare in conflitti… ma questo non deve e non può chiudere la possibilità del dialogo e della relazione… è una sfida personale, una scuola… e mi sta insegnando a gestire conflitti anche fuori dall’attività politica. Il privato è politico e il politico è privato: per me è vero nei due sensi.
Non ho un partito di riferimento in senso stretto. Sento molto l’appoggio e il sostegno del gruppo politico con il quale mi sono candidata… tuttavia, nel mio ruolo istituzionale, il mantenere e consolidare relazioni è qualcosa che sento di dover fare in solitudine… Non c’è una rete a livello sovracomunale e questa per me è una sfida. Per quanto riguarda invece le relazioni interne alla Giunta e al Gruppo consiliare c’è sicuramente un buon rapporto e una buona condivisione.
Quanto senti politicamente di riuscire a gestire conflitti?
Direi che in questi primi mesi qualcuno l’ho gestito. Penso che i conflitti vadano affrontati, prima ancora che gestiti… voglio dire che non possiamo mettere la polvere sotto il tappeto. Nella vita come nell’attività politica. La politica è confronto, e il confronto può sfociare in conflitti… ma questo non deve e non può chiudere la possibilità del dialogo e della relazione… è una sfida personale, una scuola… e mi sta insegnando a gestire conflitti anche fuori dall’attività politica. Il privato è politico e il politico è privato: per me è vero nei due sensi.
Quanto senti politicamente di riuscire a comunicare?
A questo sento di dovere lavorare, perché sono abituata a un tipo di comunicazione diversa. Per quanto la comunicazione a cui sono abituata abbia dei connotati e dei significati politici, non per questo può risultare il più adatto per una comunicazione politica.
Quanto senti politicamente di riuscire a risolvere problemi?
L’esperienza fatta in questi primi mesi è incoraggiante. Il ruolo amministrativo è molto legato alla risoluzione dei problemi… Dare delle risposte, non fermarsi alla polemica… C’è un problema?.. Vediamo di trovare le soluzioni…
Quanto peso politico senti di avere?
Il giusto. In generale non sento che ci siano pesi e misure diverse, siamo una bella Giunta paritaria.
Quanta leadership senti di avere?
Questa esperienza stuzzica la mia propensione alla leadership… forse anche la mia vena narcisistica… per quello che riguarda le mie deleghe… che sono anche le mie tematiche… la nostra Sindaca ha fatto la scelta di andare nella direzione delle nostre competenze e professionalità. Quindi trovo spazio per esercitare la mia leadership… in questo senso… le tematiche di cui mi occupo riflettono le mie competenze… mi sento a mio agio in quello che faccio e quindi leader in questo senso.Riflessione
Mi piace pensare all’omogeneità legata alle opportunità. Pensare ad azioni omogenee non vuole dire uniformità e appiattimento, ma coerenza e sinergia dei criteri e degli obiettivi. Se su un territorio c’è una progettualità condivisa questo non vuole dire che le iniziative conseguenti siano le medesime per tutte le realtà che lo compongono. È un po’ come la differenza tra eguaglianza ed equità.
Qual è la tua idea di sovracomunalità?
La prima parola che mi viene in mente è rete. La collego all’opportunità di mettersi insieme e di creare così nuove relazioni. La ritengo fondamentale pensando alle difficoltà degli enti locali in termini di risorse, sia economiche che umane.
Qual è la tua idea di sussidiarietà?
Non mi piace molto questa parola. La collego sempre a carità. Una specie di contentino di chi ha più possibilità che va in supporto a chi ha meno possibilità… Anche nell’etimo non mi piace. “Su” è un prefisso che indica qualcosa che è “sopra” e per questo implica sempre qualcosa che gli sta “sotto”. Se poi lo riferiamo al significato politico di compartecipazione lo ritengo fraintendibile, perché laddove c’è collaborazione a mio parere deve sempre sussistere la collegialità che è garanzia di relazioni paritetiche, anche quando i ruoli siano organizzati in scale gerarchiche.
Qual è la tua idea di solidarietà?
La prima immagine che mi viene in mente è un’apertura di braccia… che sarà anche un’immagine stereotipica… ma è quella. Essere solidali è un principio civico. Non vuole dire “fare volontariato”. La solidarietà parte da un’idea di relazione. Non puoi essere solidale se non sei disposta a metterti in relazione. La solidarietà in molti casi è addirittura doverosa, inevitabile. È non è una dichiarazione di intenti, è prima di tutto un’azione.
Qual è la tua idea di omogeneità?
Mi piace pensare all’omogeneità legata alle opportunità. Pensare ad azioni omogenee non vuole dire uniformità e appiattimento, ma coerenza e sinergia dei criteri e degli obiettivi. Se su un territorio c’è una progettualità condivisa questo non vuole dire che le iniziative conseguenti siano le medesime per tutte le realtà che lo compongono. È un po’ come la differenza tra eguaglianza ed equità.
Qual è la tua idea di condivisione/differenziazione?
A me condividere piace. A volte forse condivido troppo. Mi piace perché i momenti di condivisione rafforzano la relazione e danno la possibilità di scoprire ogni volta qualcosa di nuovo. La condivisione permette di far risaltare le differenze… che sono sempre risorse… offre la possibilità del confronto e quindi l’opportunità di far emergere idee e bisogni diversi.
Che idea hai delle Politiche di Pari Opportunità?
Credo che le pari opportunità vengano purtroppo trattate un po’ come l’ultima ruota del carro. È una constatazione che mi rende triste e arrabbiata. Il risultato di questo atteggiamento lo abbiamo davanti agli occhi nei rigurgiti reazionari e maschilisti… l’aggressività e l’arroganza alimentata da una parte della politica a livello nazionale, che non ha remore a usare un linguaggio sessista, violento e crudele. Credo che le politiche di pari opportunità siano necessarie perché vanno ad agire principalmente sulla cultura e per questo sono più sottili e più difficili e hanno tempi più lunghi perché il cambiamento è un processo che va costruito nel tempo, che non è scritto nel marmo, ma che si deve adattare. Le politiche di pari opportunità sono legate a tantissime cose: i diritti delle donne, l’empowerment femminile e quindi anche un discorso di crescita economica; così come le nuove cittadinanze che sono un arricchimento e non un pericolo.